Quando serve un bel “NO!”

La situazione in cui un genitore si trova più in difficoltà fin dai primissimi mesi di vita del suo bambino è quando sa di dover dire “NO” e teme di farlo per timore di ferirlo. Tuttavia sappiamo da anni di ricerche in psicopedagogia e psicologia dello sviluppo, come il “NO” sia uno strumento fondamentale nell’educazione di un figlio.

In realtà sono proprio le piccole frustrazioni che aiutano ogni bambino a crescere. Si tratta però di piccole frustrazioni motivate, purché siano efficaci e di conseguenza utili a comprendere il senso del limite e dell’attesa, il significato di confine tra il me e il non-me, tra l’Io e il mondo esterno. La motivazione nutre la mente del bambino, lo aiuta ad elaborare il mondo delle emozioni a comprendere ciò che accade dentro e fuori di lui. Dire “No” nelle sue varie forme, significa essenzialmente stabilire una distanza tra un desiderio e la sua soddisfazione. Certi aspetti dell’educazione dei bambini, come per esempio la separazione, lo svezzamento, il problema di come affrontare il pianto, portano in primo piano la questione dei limiti. La riluttanza a definire dei limiti può ostacolare lo sviluppo delle capacità dei bambini.

Dalla nascita ai due anni

Il bambino è inizialmente estremamente dipendente dalla madre come figura di riferimento primaria, poi da entrambi genitori verso i quali dirige le sue attenzioni.
Ad esempio: “un neonato impara molto presto ad attirare l’attenzione piangendo; se la madre non risponde ai suoi pianti può dargli la sensazione di essere trascurato, privo di valore. Esperienze ripetute di questo tipo possono infondergli un senso di insicurezza e indurlo a piangere sempre più spesso”. Occorre trovare un giusto equilibrio. Il “No” che motiva l’attesa invece, nutre la mente del bambino, e favorisce precocemente la gestione dell’ansia imparando a dominarla.
Come suggerisce T. Berry Brazelton, professore emerito di pediatria presso la Harvard Medical School, il neonato è inizialmente egocentrico, solo man mano impara che esistono rapporti che non ruotano attorno al lui… ci saranno momenti in cui il padre e la madre dicono al bambino: “Aspetta un momento sto parlando con la mamma”. È una lezione importante, che insegna che ciò che fa un altro può essere indipendente da lui. Qui l’attesa non è dovuta a quello che fa il bambino, ma a quello che altri stanno facendo.

Dai due ai cinque anni

In questa fascia di età il bambino non distingue ancora bene il confine tra realtà e fantasia, tra ciò che è vero e ciò che è finzione. Ad esempio: “Luca reagisce al “No” del padre come se fosse un orco che lo vuole uccidere, proprio come nella fiaba di Pollicino. Sappiamo che è un uomo gentile ma ha difficoltà a dire “No” a Luca, quando lo fa non è controllato si infiamma troppo, in questo modo ottiene l’effetto contrario: il bambino si spaventa, cosicchè la fantasia trova eco nella realtà e le due cose si confondono”.
Tutti sappiamo che non è facile sentirsi dire “No”. Se rifiutate al bambino qualcosa che desidera, dovete essere pronti ad affrontare la sua reazione. L’adulto deve restare calmo, e non farsi travolgere dalle emozioni del bambino al punto da trascinarsi all’ira. È infatti più facile, ma errato lasciarsi sopraffare dall’ irritazione, piuttosto che prendere il bambino stringerlo a sè e tranquillizzarlo. Alcuni bambini hanno bisogno di questo contenimento fisico, ad altri basta la voce o la vostra pazienza oppure lasciarli sfogare limitandovi ad essere presenti.

Gli anni della scuola primaria

In questa fascia di età il bambino trascorre molto del suo tempo a scuola, deve adattarsi a far parte di un gruppo, il suo mondo diventa pieno di regole e di doveri. Gli sono richieste abilità più fini, deve imparare a gestire nuovi rapporti, pensieri, abilità, prestazioni e per farlo ha bisogno di partire da una base sicura, intesa come quel legame genitoriale che infonde sicurezza, protezione e fiducia. Il bambino dai sei ai dieci anni ha bisogno di sentirsi distinto dai genitori, quindi di sentirsi dire “No” nella sua accezione più ampia e simbolica cioè per comprendere chi è lui e chi siete voi: ciò favorisce l’acquisizione della capacità di decidere come rapportarsi con il mondo. I bambini portano a casa questioni, scelte e decisioni che spesso mettono in difficoltà i genitori, proprio perché estranee al nucleo familiare. Il confronto con il gruppo è importante come lo è aderirvi, e per farlo spesso i bambini chiedono un gioco nuovo, una collezione di figurine, un astuccio particolare, un capo di abbigliamento particolare ecc… Anche la scelta degli sport è una questione spesso ardua da affrontare. Ad esempio: “ Elisa ha dieci anni e la passione per il nuoto, sport in cui riesce molto bene. Convince i genitori ma il corso ad un livello agonistico richiede la frequenza tre volte a settimana. Ad Elisa piacciono molto le gare ma gli allenamenti la stancano. Il padre deve farle continue prediche perché frequenti regolarmente, anche quando non ne ha voglia. Ne nascono molte discussioni”. Avendo consentito ed incoraggiato un desiderio del figlio molti genitori si sentono in dovere di fargli portare avanti l’attività. Sarebbe più efficace chiedersi invece che cosa significa per il bambino continuare o smettere, così da dedicargli del tempo per insegnargli che le scelte hanno un valore e che non è indifferente abbandonare un’ attività in corso. È una occasione utile per aiutarlo a sviluppare costanza e ottimismo.

Preadolescenza – Adolescenza

In età adolescenziale, la questione di dire “No” diventa più complessa: si devono ancora imporre dei limiti e in quale maniera? La domanda che hanno in testa i “teen” è: “Chi sono io?”.
Negli ultimi anni si distinguono queste due fasi dello sviluppo: la pre-adolescenza che va dai dodici ai quattordici anni, e l’adolescenza dai quattordici ai vent’anni circa o anche oltre…
La pre-adolescenza in particolare è un periodo di grandi cambiamenti, proprio perchè sancisce la fine e la separazione dall’infanzia con il passaggio graduale nell’adolescenza. In adolescenza invece la percezione di sé subisce metamorfosi, nella psiche e nel corpo; non si è più bambini e non ancora adulti, quindi l’umore e l’immagine di sé ondeggiano come fronde al vento.
C’è bisogno di una base sicura ora più che mai proprio come quando erano piccoli, con un ritorno alla funzione materna di contenimento emotivo e fisico, che trasforma i sentimenti più paurosi in emozioni più accettabili ma che in adolescenza assume forme diverse: dalle braccia materne ci si sposta simbolicamente all’ambiente-casa che creiamo ogni giorno per lui facendolo sentire al sicuro, grazie anche alla capacità propria del genitore e della coppia genitoriale, di stabilire delle regole e di attenersi ad esse. Nonostante l’inevitabile conflitto che si crea tra genitori e figli adolescenti:

    • In realtà i ragazzi vogliono che i genitori dicano loro “Ti fa male!”, impedendogli di fumare e di bere, perché pensano che abbiano il compito di proteggerli dalle cose “cattive”.
    • I ragazzi hanno un gran desiderio che i genitori si fidino di loro e apprezzano la flessibilità.
    • La disponibilità e la capacità di ascoltare danno al ragazzo l’impressione che state pensando proprio a lui, accettando meglio un “No” come conseguenza.Dott.ssa SILVIA TONELLI
      Psicologa, Rimini

Bibliografia
A. Phillips,”I no che aiutano a crescere”, Feltrinelli, 1999
“Non solo amore”, A.Oliverio Ferraris, Giunti Demetra, 2005


© 2007, Dr. Stefano Gorini

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